tratto dal libro

--------------- Il Mistero di Torino --------------

di V. Messori e A. Cazzullo, Mondadori, 2004

pp.253-255

 

 

 

...resta un mistero, e credo lo resterà per sempre, l'uomo di via Silvio Pellico 31, Gustavo Adolfo Rol.

Dopo la sua morte i giornali mi hanno chiesto più volte di scrivere di lui. Avendolo frequentato, avendo assistito a qualcuno degli «esperimenti», come li chiamava, nei saloni napoleonici di quella sua casa vasta e silenziosa, fondale ideale per un simile personaggio. Chè personaggio lo fu davvero e, malgrado la discrezione, a livello internazionale. Di lui, per suo desiderio esplicito, scrissi soltanto dopo la sua morte. Fu lui che, tramite un'amica comune, mi fece sapere che mi avrebbe conosciuto volentieri, avendo letto i miei primi libri. Mi mise però per condizione di dimenticare, varcando la soglia della sua casa, il mio mestiere di giornalista. Di ciò che avrei visto e sentito non avrei dovuto riferire in pubblico. Sino, appunto, alla sua morte. Ne potè scrivere poco anche il giornalista - un collega della «Stampa», tra l'altro anche lui modenese, Remo Lugli - che lo frequentò più a lungo. Maggiore libertà fu data a Renzo Allegri, per alcune puntate su «Gente», pur con testi sempre attentamente rivisti. In occasione del centenario della nascita, e partendo da un mio pezzo che il «Corriere» aveva messo in prima, Bruno Vespa organizzò su Rol uno dei suoi «Porta a porta». C'ero anch'io e, a beneficio dei telespettatori, un famoso prestigiatore si esibì in alcuni numeri del suo repertorio che avrebbero dovuto dimostrare come i misteriosi poteri attribuiti a quell'uomo fossero in realtà soltanto abili giochi. Il caso, però, non è così semplice. Anche il pur abilissimo prestigiatore televisivo, in effetti, non avrebbe potuto (senza mai toccarmi e neanche sfiorarmi) far apparire nella tasca interna, chiusa col bottone, della mia giacca una risposta, di mano certamente sua, a una mia domanda; e il tutto su carta che io stesso avevo scelto ed esaminato in ogni modo possibile. Eppure questo, tra molte altre cose, fece Rol con me e con altri. Non ho frequentato spesso quel suo salotto dove accedere era un privilegio concesso a pochi: se ci fui di rado fu soprattutto perchè mi ero già trasferito a Milano e l'ora notturna degli incontri complicava l'impegno. Non lo vidi molte volte, dunque, anche se negli ultimi tempi mi telefonava spesso. Da lui, dunque, non assistetti a molto di ciò che testimoni insospettabili hanno visto - dalla pittura a distanza di copie di capolavori sino alla bilocazione o alla sfida all'impenetrabilità dei corpi -, tutti ammettendo che si andava al di là di ogni possibilità di arte prestigiatoria, per quanto raffinata.

Ma, dicevo, il caso non è semplice, soprattutto perchè, se Rol fosse stato davvero un mistificatore, uno che attribuiva a capacità misteriose ciò che non era che gioco da varietà, l'enigma che lo circonda non sarebbe affatto dissolto, bensì moltiplicato. Tutte le testimonianze (pure quelle di chi ne ha diffidato) concordano nel descrivere il dottor Gustavo Adolfo Rol non soltanto come un elegante, colto, educatissimo gentiluomo torinese, ma anche come un uomo buono, generoso, disinteressato. Neanche fra i detrattori più accaniti qualcuno ha potuto accusarlo di avere tratto profitto economico dai suoi «numeri», se tali erano. Più che prendere, ha spesso dato ai bisognosi che assisteva. I prestigiatori, che lo descrivono come un collega, sono d'accordo nel riconoscere che in lui l'arte raggiungeva il sommo: un intrattenitore di quel livello avrebbe potuto spuntare i cachet più alti nei teatri e negli studi televisivi più prestigiosi del mondo. Si esibiva, invece, per pochi selezionati amici, quasi sempre gli stessi, nel chiuso della sua casa. E invece di raccogliere denaro, ogni volta ne spendeva, per il piccolo ma elegante rinfresco che offriva...Strano mistificatore, davvero.

Forse la vanità, dunque, se il movente non era il denaro? Ma quella vanità non sarebbe stata assai più soddisfatta accettando di essere uomo di spettacolo? Quale vanità, poi, in un uomo che mai accettò di apparire in televisione e che esigeva dai giornalisti - io, lo dicevo, fui tra loro - di parlare di lui solo da morto? Soprattutto: se manca il movente, come accordare, poi, una mistificazione condotta sino all'ultimo, sin oltre i novant'anni, con una vita non solo da gentiluomo probo ma anche da credente praticante, che spesso qualcuno scopriva assorto in preghiera in una delle cappelle in penombra della Consolata? Se mi volle conoscere è perchè voleva congratularsi per le cose «cattoliche» che scrivevo e mi confermò più volte - anche nell'ultima telefonata che mi fece - che si riconosceva in pieno nell'ortodossia della Chiesa. Il dottor Jekyll e mister Hyde? Per me, come per tutti coloro che l'hanno conosciuto - e molti, ben più intimamente di quanto io abbia potuto fare -, sembra impossibile acccettare un tale sdoppiamento della personalità. Rol, dopo aver fatto quelle sue cose sbalorditive, si affrettava a precisare di essere solo uno strumento, per aiutare a comprendere l'esistenza e la realtà di un Mistero dietro le cose e dietro la vita.

La sua testimonianza era esplicitamente apologetica; e di un'apologetica cristiana. Denunciare, cioè, anche per mezzo di quegli «esperimenti», che ogni materialismo è fallace e che c'è un Creatore onnipotente che ha dato alle sue creature una scintilla del Suo potere. Sulla scorta dell'evangelico «nulla è impossibile a chi crede», Rol non si stancava di dire che chiunque, purchè avesse fede, avrebbe potuto fare le cose sconvolgenti che lui faceva, e che non erano se non un segno delle opere di carità richieste a ogni credente. Un discorso religioso, il suo, che sarebbe stato davvero blasfemo se, in realtà, quei «poteri» non fossero stati altro che numeri da prestigiatore occulto, trucchi per menare per il naso chi assisteva e che rappresentava spesso il top della cultura e dell'economia di Torino. Spiegò poi, e più volte, che il suo rifiuto di apparire davanti a qualche commissione di medici e di giocolieri nasceva dalla consapevolezza di non poter disporre a comando di capacità che non erano sue, ma che gli venivano da un «Altro». Ma non pensare, per questo, a Rol come a un esaltato, a un maniaco convinto di essere un Predestinato, un Unto: tutto, da lui, si svolgeva in un'atmosfera seria ma al contempo leggera, senza alcuna scenografia da mago, con quel padrone di casa che non abbandonava mai i suoi modi da gentiluomo galante e bon vivant, tra aneddoti, battute e baciamano alle signore. Insomma, questo è quanto posso dire su un «caso Rol» che sarebbe più impenetrabile di quanto già non sia, se fosse soltanto un caso di mistificazione, di circonvenzione di quegli incapaci che saremmo stati noi, ospiti notturni di via Silvio Pellico.

 

 

Leggi anche l'articolo di Vittorio Messori sul Corriere della Sera del 4 giugno 2003