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Testimonianza della giornalista Monica Mondo


Rol, un uomo fra paranormale e ricerca del bene

(Avvenire, 04.06.2003, p. 26)


Vedo che a Torino ci si occupa di Gustavo Adolfo Rol, che oggi avrebbe cent’anni: il sensitivo, il “mago”, per alcuni, un nobile ed enigmatico galantuomo sabaudo che ha suscitato ammirazione, curiosità e stupore in scienziati e politici, intellettuali e artisti. Nella sua casa museo, tesoro di memorie napoleoniche (di cui collezionava cimeli preziosi e unici) si davano convegno Vittorio Valletta e Federico Fellini, Dino Buzzati e Tullio Regge. Per dialogare, come in un salotto d’altri tempi, per muoverlo a manifestare i poteri perturbanti di cui si favoleggiava, materializzazioni, trasmutazioni di oggetti, lettura e scrittura a distanza, voci e lettere dal passato.

Ho conosciuto bene Rol, ho frequentato più volte le stanze in via Silvio Pellico, dove mi aspettava per merenda la pastiera arrivata fresca fresca dalla migliore pasticceria di Napoli: affascinata dal personaggio, decisa a scoprirne il segreto, con l’ingenuità e i sospetti dei vent’anni, e i dubbi che l’appartenenza alla Chiesa, e un’educazione di stampo laicista, potevano alimentare. Ho visto un pennello che si muoveva da solo, docile ai desideri del pittore (erano nature morte, fiori in genere, sui toni caldi e malinconici del rosa antico e del seppia), ho scelto libri dai piani più alti della libreria da capogiro che rivestiva le pareti di studio e salotto, per spingerlo a leggere, a caso, la prima pagina aperta, io arrampicata sulla scaletta e lui comodamente in poltrona. Ho tirato contro il muro una forchetta d’argento, e mi ha invitata ad andarla a prendere dall’altra parte, nella stanza atttigua. Ho piegato un foglio di carta bianca, da me portato, l’ho nascosto in seno, e ci ho trovato scritto, in calligrafia tremolante e antica, pensieri che riguardavano me sola. Ho detto con Rol un bel po’ d’Avemarie, l’ho sentito lamentarsi più volte (sono talvolta noiosi i vecchi…) dell’astio, dei pregiudizi di sedicenti razionalisti scettici. Ce l’aveva soprattutto con Piero Angela, autore di un libro denigratorio, per lui: che gli aveva mai fatto, mi diceva, e come la gente che cercava di aiutare gli avrebbe creduto, di fronte alle calunnie, alle accuse di essere un truffatore? Perché questo è il punto: a quel nonno coltissimo, che non si mise mai in mostra e non chiese mai nulla per sé, importava davvvero fare del bene, darsi pena degli ammalati, prestarsi col denaro, una parola buona o la sua virtù di cui lui stesso non sapeva darsi spiegazioni (un dono di Dio, diceva, di cui devo rendere conto, e usare per Dio).

Erano tempi lontani, solo vent’anni fa, per mode e per la formazione di Rol, da tentazione new age. E basterebbe chiedere alla parrocchia del suo quartiere, alle suore del Cottolengo, agli illustri primari che lo volevano in sala operatoria per i casi disperati, quale fosse la sua discrezione, il suo umile ritegno. Io ero una presuntuosa e testarda ragazza con seri disturbi dell’alimentazione, si dice così: non so se i giochetti, le “cose” che mi ha fatto vedere fossero frutto di poteri paranormali, o di abile capacità di suggestione. Ha poca importanza. Ma è certo che ci teneva ad avere la mia fiducia perché lo ascoltassi poi, quando mi offriva una fetta di torta e m’invitava ad avere cura di me, a volermi un po’ bene.

Mi ha regalato, e so quanto valesse per lui, un cimelio, un medaglione, ovvero un bottone di legno incastonato nell’oro: trovato nel fango seccato, nella terra concimata dal sangue dei soldati a Marengo, il luogo della terribile battaglia del giugno 1800 che aprì la strada a tante vittorie napoleoniche. Era certo di un ragazzo deciso a spendere la vita per un ideale, per l’uomo che lo incarnava, mi disse. Toccava avere la stessa fede, la stessa voglia di vivere, di rischiare. Quando guardo il medaglione di Marengo, sono grata a Rol, per quelle iniezioni di coraggio più efficaci, tante volte, delle medicine.