Hiram 4/2001

 

La neuroteologia

Una nuova scienza che indaga sulle basi neurologiche della spiritualità e della religiosità 

di Giuseppe Schiavone
(Università di Lecce)

 

C'è, sulla volta della Cappella Sistina, come tutti sappiamo, il noto affresco di Michelangelo (<<La creazione di Adamo>>) che raffigura Dio nell'atto in cui passa la parola ( il logos ) all'uomo, dotandolo così di spiritualità, intelligenza, capacità di conoscenza e autocoscienza. Fa da sfondo come un drappeggio, in realtà. a ben guardare, sembra proprio la silhoutte di un cervello (per di più contenente il Padreterno con la sua coorte di angeli), quasi un messaggio dell'autore (che frequentò la scuola iniziatica neoplatonica nella corte fiorentina de' Medici) per indicare, se non proprio che Dio è un cervello, o che nel cervello c'è Dio, almeno che una grande ragione cosmica presiede ed essenzia ogni fenomeno che accade nel mondo. Questo notai tanti anni fa, quando per la prima volta osservai per intero e direttamente il capolavoro del grande artista.

In linea, ma casualmente, con questo simbolo, in America, nell'Università di Pennsylvania, sono stati eseguiti di recente alcuni suggestivi esperimenti, i cui risultati sono stati resi noti qualche mese fa. Ne hanno parlato molti giornali. Il settimanale Newsweek ha dedicato la copertina del suo numero di fine aprile al tema Religion and the brain. Ne ha riferito anche la stampa italiana (La Repubblica, L'Espresso, Il Messaggero, L'Avvenire, ecc.), così sintetizzando: <<Dio è spirito, anzi cervello. I neuroni guidano la fede>>; <<Nel cervello c'è Dio>>; <<Studiosi inglesi e USA sostengono di aver individuato le zone dei "circuiti spirituali">>; <<Neuroteologia: il cervello è costruito per la fede?>>.

Vediamo di cosa si tratta. Le prime origini di questa ricerca risalgono all'incirca al 1982, quando il neurologo James Austin, mentre sostava in una stazione della metropolitana di Londra, ebbe un'improvviso stato di trance, un'improvvisa illuminazione, una sensazione di eternità e di elevazione spirituale; contemporaneamente la dimensione spazio-temporale svaniva. A tal proposito egli ebbe a dichiarare: <<Avevo avuto in dono la comprensione della natura ultima delle cose>>. Dopo questa esperienza Austin non divenne un mistico, nè si chiuse in convento, come qualcuno sarebbe portato a pensare, ma intraprese un'intensa ricerca scientifica per conoscere meglio il cervello ed esplorare le componenti neurologiche della dimensione spirituale dell'uomo. I risultati di quell'indagine li raccolse poi in un poderoso libro, Lo Zen e il cervello, pubblicato nel 1998 nientemeno che dalla prestigiosa Mit press (Massachussetts Institute of Technology). Questi studi hanno posto le basi della <<neurobiologia della spiritualità e della religione>>, stimolando peraltro la Columbia University di New York all'apertura di un <<Centro per lo studio della scienza e della religione>>.

E' nata così la neuroteologia, una nuova scienza che indaga sulle basi neurobiologiche della spiritualità e della religiosità.

Successivamente, lungo questo filone, sono stati pubblicati articoli e libri scientifici a cura di ricercatori dell'Università della Pennsylvania e del Wheaton College in Massachussetts. Ne segnalo alcuuni: The sacred depths of nature, di Ursula Goodenough, The feeling of what happens, di Antonio Damasio, e per ultimo, nell'aprile di quest'anno, il più interessante e affascinante, Why God won't away, di Andrew Newberg ed Eugene d'Aquili (da poco scomparso), due neurologi che riferiscono sui loro esperimenti che dimostrerebbero: 1) come le attività rituali, le meditazioni e le preghiere, correttamente eseguite, attivino nuove zone del cervello; 2) come contestualmente si disattivino le zone preposte all'orientamento spazio-temporale. I soggetti esaminati - così riferiscono - entrano in una dimensione nuova, dove l'io non si percepisce più nei limiti dello spazio e del tempo, ma nell'eternità. Entrano in uno stato di coscienza dove si sentono tutt'uno con il cosmo, incontrano una realtà altra rispetto a quella quotidiana.

Nel corso di questi fenomeni, che si determinano in persone indistinte per cultura e fede, i neuroteologi hanno cercato di andare a fondo, di scoprire che cosa avviene, quali aree cerebrali si accendono e quali si spengono.

Così si esprime il neurologo Michael J. Baime, amico di Newberg, dopo aver praticato la meditazione secondo la ritualità buddista tibetana: <<Sentivo l'energia concentrarsi in me [...], uscire verso lo spazio infinito, per poi tornare [...]. Sentivo un profondo allentarsi nei confini intorno a me e un collegamento con una qualche forma di energia ed essenza piena di chiarezza, trasparenza e gioia>>.

Gli esperimenti scientifici sono stati condotti sullo stesso Baime e su monaci tibetani e suore francescane. L'ambiente viene preliminarmente preparato con supporti sensoriali, accendendo candele e bruciando incensi. Poi si assume la posizione del loto (o quella usuale nella ritualità di riferimento del credente che si sottopone alla prova) e ci si concentra sulla propria interiorità per farla emergere, cercando di equilibrare l'unità psicofisica, rilassandosi, raggiungendo la calma e - usando la terminologia massonica - liberandosi dalle <<preoccupazioni profane>> e dai <<metalli>>, si da stimolare nel centro della propria essenza (del proprio io) le <<energie sottili>>.

Nel raccoglimento, raggiunto il picco spirituale (se ad esso si perviene), il monaco (o la suora) dà uno strattone ad una piccola fune che ha a fianco, inviando il segnale allo scienziato che, dalla stanza accanto, sovrintende all'esperimento. Questi, che ha nella sua mano l'altro capo della cordicella, sente il segnale e immediatamente inietta, nel tubicino inserito tramite ago di endovenosa nel braccio sinistro della <<cavia>>, un tracciante di contrasto, sottoponendola a Spect (tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli). Rileva così il flusso sanguigno correlato all'attività neuronica cerebrale. Il cervello in tal modo è reso visibile su di un monitor, per mezzo del quale si possono osservare e fotografare tutte le variazioni in aumento di flusso ematico nel territorio cerebrale al momento in attività e, nel caso in esame, la fenomenologia dell'encefalo durante gli stati evolutivi spirituali.

Ciò che si evidenzia è l'attivazione della corteccia prefrontale, sede dell'attenzione, e un assopimento dei neuroni nel lobo parietale superiore, dove convergono i dati sensori che ci danno la cognizione del confine e della distinzione tra l'io e il resto del mondo, tra il proprio corpo e la realtà che è oltre. L'intensa concentrazione meditativa inibisce la trasmissione dei suddetti sensori nel lobo parietale superiore, per cui l'area di orientamento di sinistra in ordine all'appercezione spazio-temporale si scurisce, come se si spegnesse. Contemporaneamente, secondo quanto scrivono Newberg e d'Aquili, si ha l'attivazione di aree cerebrali che fanno <<percepire l'io come eternamente intrecciato con il tutto>>, con la conseguente captazione dell'universale. Newberg, a questo punto, tiene a precisare che non si tratta di <<mere illusioni neurologiche>>, ma di una nuova esperienza conoscitiva.

Contributi a questa ricerca vengono forniti da precedenti studi di neurologi che hanno individuato un nesso tra l'epilessia dei lobi temporali e il contemporaneo destarsi dell'interesse religioso nei portatori. Alcuni hanno escluso tale collegamento, mentre altri hanno confermato che questa patologia (come anche la condizione indotta attraverso stimolazioni dei lobi per mezzo di scariche elettriche) a volte induce a visioni e voci religiose. Non a caso, sin dall'antichità, e ancor oggi, essa è chiamata anche <<morbo sacro>>.

Pure le preghiere, le nenie, i comportamenti rituali, e simili, provocano effetti particolari a livello cerebrale. Si evidenziano come tecniche capaci di avviare tali processi encefalici. Determinano uno stato coscienziale altro. Danno un senso di unione con Dio e d'integrazione fraterna con la comunità di cui si fa parte. Sono meccanismi dai quali neppure gli atei potrebbero sottrarsi, in quanto sono configurazioni naturali geneticamente predisposte alla trascendenza. <<Finchè il nostro cervello avrà questa struttura - schematizzano gli scienziati della Pennsylvania - Dio non può andar via>>.

Monsignor Elio Sgreccia, interrogato sugli studi di Newberg, li ha considerati compatibili con la fede religiosa. A suo parere "questo esperimento s'inquadra nel grande tema che sta alla base del rapporto tra mente, che è un'attività immateriale, e cervello, che è una parte del nostro corpo [...]. Certamente: anche i pensieri di carattere religioso, anche i momenti di preghiera passano attraverso la mente e lasciano lì, nel cervello, la loro impronta". In conclusione, egli dice: <<Nell'esperimento di questo ricercatore non vedo contrasti con quello che noi crediamo. Anche in questo caso tra la scienza e la fede non c'è contraddizione>>.

E il Nobel Rita Levi Montalcini così si è espresso: <<Mi preme mettere subito in chiaro un punto: sono laica e non credente [...]. Tuttavia, posso dire che, sì, è ipotizzabile che una parte del cervello possa reagire in un certo modo agli stimoli della preghiera. Non sono contraria all'idea in sè: perchè no?>>.

I rituali, quindi, producono effetti nella mente e nel cervello. Stimolano una nuova capacità di percepire, una nuova conoscenza, secondo categorie diverse da quelle comunemente e quotidianamente usate nell'esperienza spazio-temporale.

Gli esperimenti di Newberg starebbero dimostrando che il nostro cervello ha una struttura preordinata a pensare Dio e a penetrare il mondo dello spirito, per consentire all'uomo un contatto con Lui, sperimentandone la presenza (come già invitava il Salmo 34,9: <<Gustate e vedete quanto è buono il Signore>>). C'inducono a ipotizzare che c'è una parte del cervello che possiede una precipua facoltà deputata a trascendere il tempo e lo spazio e a immettere l'io nella dimensione dell'infinito, dove il soggetto avverte sensazioni che interpreta come prove dell'esistenza di Dio; che ci sono una o più aree cerebrali capaci di comprendere Dio, costituendo la liaison che permette di sintonizzarsi con il Grande Architetto dell'universo, di mettersi in contatto con Lui. Il cervello - nella sua parte a questo scopo specializzata o predisposta - è lo strumento che permette l'appercezione di ciò che è intorno a noi (visibile o invisibile che sia). Acquisiamo così la consapevolezza che anche per la conoscenza teologica è stato predisposto nell'uomo un organo che consente d'addentrarsi con fiducia nella ricerca e comprensione di Dio, del suo mistero. Quando ciò avverrà, l'attuale ridotta capacità creativa dell'uomo crescerà significativamente, a immagine e somiglianza del suo Creatore. Così ha detto Newberg: <<Il cervello umano è stato geneticamente configurato per incoraggiare la fede religiosa>>.

Riferimenti a questa innata (pur se latente) capacità conoscitiva dello spirito dell'uomo - come già ho avuto modo di scrivere altrove - la troviamo nel Vangelo ( Giovanni, 5, 20 ), laddove è detto: <<Sappiamo pure che il Figlio di Dio [che è il Logos - n.d.r.] è venuto e ci ha dato l'intelligenza per conoscere il vero Dio e la vita eterna>>. E in Colossesi, 2, 2-4: <<Strettamente congiunti nell'amore, [acquistiamo] in tutta la sua ricchezza la piena intelligenza, e [giungiamo] a penetrare nella perfetta conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza >> (per un quadro più ampio si veda G. Schiavone, L'essenza della religione, in <<Convegno studi su "Religiosità e religione">>, RSAA, Taranto, 27 febbraio 2000, pp. 9-14).

Anche nel tempio liberomuratorio, come osservai alcuni anni fa (si veda G. Schiavone, Spiritualità e "preghiera" nel Tempio massonico, in "Massoneria Oggi", 6, 1995, pp. 59-60), <<i caratteri intrinseci ed estrinseci della "preghiera" massonica permettono al Libero Muratore di avvicinarsi a Dio, Principio e Architetto di tutte le cose, coinvolgendo l'interiorità del soggetto e la comprensione dell'immensità dell'universo>>.

Così continuavo: <<Il soggetto, trovando Dio nella propria interiorità, trova la fonte di se stesso, la pura potenzialità di sé (cioè la spiritualità, che è libertà-intelligenza-creatività: il nucleo dell'humanitas ), da cui parte l'autentica autocostruzione dell'iniziato, per divenire un uomo integrale, onnilaterale. In questo processo l'espansione della dimensione coscienziale coincide con l'espansione dello spirito, perciò con la crescita dell'humanitas che è in ognuno. Pertanto, risulta evidente come la preghiera massonica si esprima in una metodologia [in una tecnica], ossia in un affinamento (ciò ch'è detto il "lavoro muratorio di levigazione della pietra grezza"), in un'educazione ad una religiosità elevata. Perciò pregare, per il Massone, è pure acquisire la conoscenza del "tempo sottile" o della "dimensione sottile", cioè della dimensione spirituale (da cui l'impegno a lavorare per passare, appunto, dal "grosso" [la volgarità] al "sottile" [l'elevazione spirituale]) e dei simboli che rivelano alla coscienza ciò che è segreto e nascosto agli occhi dei profani, ma che per l'iniziato costituiscono i riferimenti preziosi per il suo cammino di ricerca e di perfezionamento etico-spirituale>>.