La Repubblica, 31.01.2001

Dio è spirito, anzi cervello.

"I neuroni guidano la fede". Uno studio dell'Università della Pennsylvania introduce la neuroteologia. E se l'anelito verso il Cielo non fosse sola anima?

di Sharon Begley


NEW YORK - Inizia ogni seduta di meditazione, accendendo candele e bruciando incenso al gelsomino prima di mettersi nella posizione del loto. Si concentra sulla sua interiorità, affinché l'essenza che egli considera essere il suo vero io si liberi dai desideri, dalle preoccupazioni e dalle sensazioni corporee. Questa volta però c'è qualcosa di diverso. Il giovane monaco tibetano ha a fianco a sé una cordicella e nel braccio sinistro l' ago di un'endovenosa. Quando si avvicina all'apice dello stato di meditazione tira la cordicella. All' altro capo, nella stanza accanto, Andrew Newberg , dell'Università di Pennsylvania, sente lo strattone e inietta un mezzo di contrasto. Poi collega il paziente ad una macchina chiamata Spect che consente di visualizzare immagini del cervello ed ecco che la sensazione che l' uomo prova di essere un tutt'uno con l'universo si riduce ad una serie di dati sul monitor. La regione dell'encefalo posteriore che compone i dati sensori per darci la sensazione di dove l'io finisce e inizia invece il resto del mondo, sembra essere stata vittima di un black out. Privata degli input sensori perché l'uomo è concentrato sulla sua interiorità, questa "zona di orientamento" non può svolgere il suo compito di marcare il confine tra l' io e il mondo. "Il cervello non aveva scelta", spiega Newberg. "Percepiva l'io come infinito, un tutt' uno con il creato. Era una sensazione del tutto reale". I primi a studiare l'esperienza religiosa sono stati i neurologi, che hanno scoperto un collegamento tra l'epilessia del lobo temporale e l'improvviso manifestarsi di un interesse religioso nel paziente. Oggi i ricercatori studiano esperienze più comuni. Newberg insieme a Eugene d'Aquili, ha chiamato questo campo neuroteologia. In un libro che uscirà in aprile conclude che le esperienze spirituali sono l'inevitabile conseguenza della configurazione cerebrale. "Il cervello umano è stato geneticamente configurato per incoraggiare la fede religiosa". Anche la semplice preghiera ha un effetto particolare a livello cerebrale. Nelle immagini cerebrali registrate dalla Spect riferite a suore francescane in preghiera si notava un rallentamento di attività nell'area deputata all'orientamento, che dava alle suore un senso tangibile di unione con Dio. "L'assorbimento dell'io all'interno di qualcosa di più vasto, non deriva da una costruzione emotiva o da un pensiero pio", scrivono Newberg e d'Aquili in "Perché Dio non se ne andrà". "Scaturisce invece da eventi neurologici". La neuroteologia spiega come il comportamento rituale susciti stati cerebrali da cui deriva una vasta gamma di sensazioni, dal sentirsi parte di una comunità, all'avvertire un'unione spirituale profonda. Le nenie infondono un senso di quiete che i credenti interpretano come serenità spirituale. Al contrario, le danze dei mistici Sufi provocano una ipereccitazione che può dare ai partecipanti la sensazione di incamerare l'energia dell'universo. Questi rituali riescono ad attingere proprio a quei meccanismi cerebrali che fanno sì che i fedeli interpretino le sensazioni come prove dell'esistenza di Dio. I rituali quindi tendono a focalizzare l'attenzione sulla mente, bloccando le percezioni sensoriali, incluse quelle che la zona deputata all'orientamento utilizza per stabilire i confini dell'io. Ecco perché persino i non credenti si commuovono durante i riti religiosi. "Finché il nostro cervello avrà questa struttura", dice Newberg, "Dio non andrà via".